Per la fine di questa (venerdì 12 dicembre 2014) settimana è stato indetto, da alcune sigle sindacali, uno sciopero generale per protestare contro le poltiche del Governo. Naturalmente si tratta di un legittimo diritto costituzionale che rispettiamo, ma nella fattispecie non condividiamo. Chiedere alle persone di rinunciare ad un giorno di stipendio, indipendemente dalla crisi economica in essere, dovrebbe essere la proposta che il sindacato promuove quando tutte le altre stade da percorrere non hanno portato ad alcuna meta. Inoltre gli obiettivi dovrebbero essere chiari e realizzabili.
Quello di venderdì viene proposto perchè i proponenti ritengono che l'ennesima riforma del mercato del lavoro toglie diritti e perchè la legge di stabilità non darebbe le risposte ad un paese in agonia. Si tratta certamente di argomenti nobili, ma nel merito il cosiddetto Jobs act contiene anche delle norme positive che però potranno essere valutate appieno quando saranno diponibili i testi dei dcreti attuativi. La legge di stabilità effettivamente non risolve molti problemi del paese che sono strutturali e affrontabili solo con una drastica riduzione del debito pubblico, attraverso un contrasto mondiale all'elusione fiscale e garantendo la certezza del diritto e delle relatice pene per chi lo viola. In questo senso, come da anni ormai, le leggi di bilancio affrontano il presente alla meno peggio e inseriscono qualche novità strutturale.
Questa volta la riforma strutturale potrebbe essere l'esclusione del costo del lavoro dal calcolo dell'IRAP che CGIL, CISL, UIL e Confindustria avevano chiesto attrarso un documento comune presentato a settembre 2013. Per il resto normale amministrazione, qualche norma spot come il TFR in busta paga e niente più. Se si continua con l'ordinario, si crede veramente che uno sciopero generale possa indurre in questa fase un cambio di paradigma? Evidentemente no. Quante persone ragionevolmente risponderanno alla chiamata alla protesta? Probabilmente molto poche e pertanto il sindacato nel suo complesso continuerà a perdere consenso sociale. Cosa fare allora?
Sicuramente ragionare con la classe dirigente, a tutti i livelli istituzionali, rispetto ad obiettivi chiari che permettano di guardare al futuro con ottimismo. Ci riferiemo ad esempio al welfare integrativo che non può che essere territoriale, alla conciliazione lavoro famiglia che non possiamo accettare si possa garantire solo nelle grandi industrie, ad una proposta di riduzione del debito pubblico che non può prescindere dalla vendita di una parte del patrimonio immobiliare dello Stato che è stimato in 800 miliardi di euro.
Queste potrebbero essere delle proposte concrete che permetterebbero al sindacato di aggragare le persone per obiettivi concreti per i quali si potrebbe veramente pensare ad un futuri meno grigio del presente. Per farlo bisogna agire e l'impressione che diamo pare essere quella di chi cerca di rimanere in gioco, ma che le carte vengono date sempre da altri.
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