Il più grande ed insuperabile ostacolo per qualsiasi economista che volesse prendere una posizione precisa a favore dell'uscita dell'Italia dall'Euro è che non ci sono precedenti storici analoghi, quindi, è assai difficile immaginare in modo preciso cosa accadrebbe se l'Italia uscisse unilateralmente dall'Euro. A fronte di economisti scettici circa questa possibilità, tra i quali Luigi Zingales o Nicolas Baverez altri, ad esempio François Heisbourg o Claudio Borghi, si professano possibilisti, se non forti fautori dell'uscita dall'Euro.
Prima di tutto, è necessario distinguere due modalità antitetiche di uscita dall'Euro, ognuna delle quali porterebbe a differenti effetti economici e finanziari. L'uscita dall'Euro attraverso un percorso e una scelta democratica, oppure, in modo repentino come decisione segreta presa ed adottata dal Governo, in vigore all'improvviso e senza alcuna comunicazione preventiva. Il secondo caso è banalmente impensabile in una democrazia moderna, anche se preferibile sotto qualsiasi punto di vista, per via del fatto che impedirebbe a qualsiasi operatore economico o risparmiatore di disporre liberamente dei suoi denari ed operare in relazione all'imminente uscita dell'Italia dalla moneta comune. Infatti, nel primo caso si avrebbe una graduale, anche se non quantificabile a priori, fuga all'estero dei depositi bancari in Euro, sia da parte di investitori sia da parte di risparmiatori più accorti. Lo stesso Claudio Borghi, economista possibilista sull'uscita dell'Italia dal sistema Euro, afferma che se lui avesse depositi a breve termine in BOT, ad esempio, e venisse segretamente messo al corrente di una uscita dell'Italia dall'Euro, non esiterebbe a spostare i suoi risparmi verso titoli di altra nazione. Infatti, in caso di uscita dall'Euro, un risparmiatore saprebbe che il giorno prima di tale data potrebbe ancora ritirare i suoi depositi che continueranno ad essere espressi in Euro anche dopo la conversione, mentre lasciare i depositi in banca o investiti nel debito pubblico italiano quando questi venissero convertiti in Lira, metterebbe quegli stessi risparmi in situazione di pericolo svalutazione, come concordano tutti gli economisti, siano questi possibilisti o scettici. Infatti, è assai certo che nei giorni successivi l'eventuale uscita dell'Italia dall'Euro, la nostre rediviva Lira subirebbe un processo di svalutazione, come vedremo tra poco. In questo caso, un Euro prelevato il giorno prima della conversione continuerà a valere un Euro, mentre quello lasciato in banca subirà l'incertezza del processo di svalutazione monetaria che è esattamente quello che i possibilisti augurerebbero all'Italia, al fine di aumentare la nostra competitività sui mercati internazionali. C'è da chiedersi come i cittadini risparmiatori o correntisti italiani si comporterebbero di fronte alla notizia che nel giro di una notte i propri risparmi improvvisamente diventino soggetti al rischio di svalutazione per effetto del ritorno alla Lira.
Di fronte a questa storica decisione, al limite, al solo fine di cautelarsi, qualsiasi cittadino razionale andrebbe in banca e ritirerebbe o investirebbe altrove i suoi risparmi. Le banche non sarebbero in grado di pagare i propri depositi. In quel caso avremmo l'uscita dall'Euro in condizioni di collasso bancario.
In seconda analisi, di fronte alla conversione dell'Euro in Lira si porrebbe la questione di decidere come trattare i debiti esistenti. Infatti, se è vero che i debiti italiani possono essere riconvertiti in Lire attraverso un provvedimento del Governo, ciò non è possibile per quanto riguarda il debito di molte imprese italiane, ad esempio Fiat ed Enel, le quali detengono obbligazioni emesse in Lussemburgo e regolate dal diritto inglese. Queste società vedrebbero aumentare il loro debito per via della svalutazione seguente al ritorno alla Lira.
Inoltre, si materializzerebbe immediatamente il problema della sostenibilità del debito pubblico italiano, espresso in Lire e svincolato da qualsiasi meccanismo di protezione comunitario. Improvvisamente, come lo stesso Borghi, ma anche Zingales o altri prevedono, il nostro debito quotato in Lire richiederebbe un premio a rischio sensibilmente più elevato. In questo caso, il rischio di non sostenibilità del debito pubblico, con una situazione di minor afflusso del risparmio all'acquisto del debito pubblico stesso, rischierebbe di portare l'Italia sull'orlo del default, con le conseguenze sulla credibilità internazionale che abbiamo già sperimentato nell'estate 2011.
Ad ogni modo, questi sono problemi di transizione che, seppur con enormi sacrifici, in linea di principio potrebbero anche essere risolti nel giro di alcuni anni, ma solo a patto che la politica produca una serie di importanti riforme atte a dare forte credibilità internazionale al paese e alla sua riforma nelle strutture amministrativo-burocratiche.
Infatti, di fronte all'uscita dall'Euro, rimarrebbe intatto il problema di come l'Italia gestisce la politica monetarie, il debito e il tasso di cambio, ritornato improvvisamente ad essere strumento di economia monetaria. E' da ricordare che tra i principali motivi di adesione all'Euro, non trascurabile è il fatto che ciò avvenne in un momento in cui il mondo non si fidava più della nostra politica monetaria, del nostro deficit strutturale e del nostro debito pubblico. Sarebbe in grado l'Italia di uscire dall'Euro e, autonomamente e senza vincoli internazionali, attuare una politica monetaria stabile come quella tedesca? Più verosimilmente, il risultato di tale decisione storica porterebbe a ripetute e comode svalutazioni della Lira, come l'Italia fece prima dell'entrata in vigore dell'Euro. Il concomitante aumento del tasso di inflazione spingerebbe la nostra economia alla competizione sulla svalutazione, ovvero sul prezzo, avvicinandoci alla Cina, più che alla Germania.
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