Il giornalista redigendo il suo articolo si deve attenere a delle esigenze di vario genere e succede così che chi legge si chieda a volte che cosa si celi dietro sorprendenti o insolite affermazioni. Mi riferisco qui all’articolo comparso giovedì 13 gennaio scorso sulla cronaca meranese dell’Alto Adige. Titolava “Scuola bilingue da subito ma senza togliere niente a nessuno” e con i suoi caratteri cubitali affronta questioni già superate e risolte nella mozione presentata dalla consigliera del Team K Sabine Kiem. Dal titolo si potrebbe desumere che intervistata e giornalista non siano informati sul contenuto della stessa. E’ stata indubbiamente questa mozione e la sua unanime approvazione a sorpresa a dare il via alla serie di articoli sul tema comparsa nei media dalla metà di dicembre in poi. “… ma senza togliere niente a nessuno”, ebbene proprio queste parole nel titolo hanno provocato in me un’immediata sorpresa e delusione, poiché nella stesura del testo della mozione avevo posto grande attenzione a questo aspetto, ritenuto basilare per chiunque si occupi dell’argomento o lo tratti. La volontà di porlo in evidenza può dare l’impressione che si voglia frenare e rimettere in attesa una questione che da ben più di mezzo secolo viene ripresentata puntualmente come fondamentale. Chiunque abbia seguito in questi ultimi decenni la cronaca riguardante l’argomento sa bene che ogni mozione o disegno di legge sulla scuola bi- plurilingue presenta nel suo testo la clausola “Dovrà comunque essere garantita l’iscrizione in sezioni in cui l’insegnamento avvenga secondo il principio della madrelingua ai sensi dell’articolo 19 dello Statuto di Autonomia”. In essi insomma non si toglie niente a nessuno, ma si aggiunge la libertà di non avvalersi di un diritto sancito se non lo si desidera. E’ evidente da quanto appena esposto che l’articolo 19 dello statuto di autonomia, parte della Costituzione Italiana, non rappresenti alcun impedimento all’istituzione di sezioni con insegnamento paritetico nelle due principali lingue ufficiali del territorio. Ragion per cui non sono necessarie nuove interpretazioni adeguatrici o liberali dello stesso, né aggiunte di alcun genere, diversamente da quanto espresso nell’articolo in questione. Si aggiunge, va ribadito, la libertà di far uso di un diritto nella misura in cui lo si ritiene adeguato alle proprie esigenze, ad esempio con un insegnamento paritetico nelle due lingue, italiano e tedesco.
Un’esistenza professionale e familiare in provincia mi ha resa una convinta sostenitrice della scuola bilingue. L’occasione di collaborare e confrontarmi in progetti con la docente Renata Zanin della Libera Università di Bolzano, esperta del settore e lo studio della letteratura sull’argomento mi hanno dato modo di capirne ancor più la necessità ed i vantaggi sociali, economici e culturali.
Negli ultimi anni è stata ampiamente discussa la questione delle iniziative didattiche e pedagogiche menzionate dall’intervistata nell’articolo citato che hanno comportato costi e impegno, ma che non sono bastate a migliorare la conoscenza e l’uso della seconda lingua, come ha dimostrato la ricerca dell’EURAC (studio KOLIPSI II) i cui risultati sono stati pubblicati nel 2017. Ed è per questa ragione che la scuola bilingue con insegnamento paritetico (sul modello di quella ladina), realtà di successo non solo in provincia, ma anche altrove in Europa, da più di mezzo secolo è richiesta a gran voce da larghi strati sociali. Non pare proprio il caso di chiedersi se “i tempi sono maturi”! Ci vuole il coraggio politico di affrontare le difficoltà e l’impegno che richiede la trasformazione di un sistema che non può reggere in una società che vuol stare al passo col tempo e che invece rimane inchiodata ai condizionamenti di un passato.
Kommentare
A propos Kolipsi. Hier auf Salto hatten die Studienautorinnen unter anderem folgendes geschrieben:
«Oltre ai risultati degli esami di certificazione linguistica e delle impressioni, senz’altro utili ma non esaustive, di genitori, insegnanti e degli alunni stessi, non esistono altri dati empirici sulle esperienze CLIL in Alto Adige e anche a livello internazionale si chiede a gran voce di porre rimedio a questa che è indicata come una grave lacuna nel panorama CLIL. Occorrono studi scientifici — possibilmente longitudinali — ed evidenze statistiche per sancirne, oltre ogni ragionevole dubbio, la ricaduta sulle competenze linguistiche ma anche per chiarire fino dove può e deve spingersi la scuola e dove invece sono le famiglie e i ragazzi stessi che, SMESSO DI DELEGARE TUTTO ALLA SCUOLA, devono mettere in moto quel circolo virtuoso affinché la lingua diventi davvero strumento di comunicazione, di convivenza e di partecipazione.»
Hervorhebung von mir
https://www.salto.bz/de/article/01062017/polemiche-inutili
Noch klarer wurde die Professorin Rita Franceschini in einem AA-Interview vom 7.6.2017:
«Il problema è che [il metodo Clil] è un feticcio, e invece il metodo che risolve tutti i problemi non esiste. Il Clil richiede contesti autentici per trovare applicazione pratica, contesti più distesi e informali dove ci si possa esprimere in libertà.»
«La scuola unica è un altro feticcio. Non credo che in Sudtirolo possa esistere una scuola unica. Ci muoviamo in un contesto di bilinguismo bicomunitario, in cui per esempio la variabile del dialetto gioca un ruolo importante e con comunità linguistiche che hanno sviluppato comportamenti bilingui diversi e che hanno obiettivi diversi.»
Il CLIL è da sempre usato dall'insegnante d'italiano L2: guai se essa osa spiegare in tedesco la grammatica o altro. E il presidente della provincia si è pronunciato una volta contrario al CLIL! Ci sono insegnanti entusiasti che insegnano inglese e disciplina, usando cioè il CLIL! Io stessa sono stata una di loro. Ma è un feticcio, riporta lei. Un feticcio è anche la scuola unica (con insegnamento paritetico bilingue, suppongo intenda), si ribadisce sempre qui sopra. E i ladini, unica minoranza bilingue, non lo sono magari grazie ad una scuola bilingue? Giusto osservare che una soluzione per ogni problema non esiste, se si considera poi la società variegata in cui si vive. I numerosi vantaggi che offre una scuola frequentata da alunni di entrambe le lingue e culture in cui si insegna usandole in modo paritetico si possono leggere nella letteratura sull'argomento.
A dire il vero la letteratura sull'argomento fa notare anche che l'insegnamento bilingue, in presenza di una lingua minoritaria, fa sovente diminuire l'uso di quest'ultima lingua a favore di quella maggioritaria. Si parla ad esempio di bilinguismo sottrattivo (subtractive bilingualism).
Questo è purtroppo vero. Sia a scuola che soprattutto nelle famiglie, dove la lingua minoritaria è, diciamo così, di casa, va incoraggiato l'uso e tenuta viva la cultura di cui la lingua è espressione.
Il punto essenziale, e che secondo me Liliana Turri evidenzia perfettamente, è che il “famigerato” (nel senso di cattiva fama) articolo 19 non impedisce la costruzione di una scuola bilingue, se la comunità di riferimento è a favore.
E le rispettive esigenze, al riguardo, sono molto differenti. Il principio al quale il gruppo etnolinguistico tedesco si richiama prioritariamente è la salvaguardia della propria lingua madre. Quello a cui invece si richiama, anche se secondariamente, il gruppo etnolinguistico italiano, è l’apprendimento del tedesco. Senza il quale, le possibilità occupazionali sono ormai molto limitate, facendone quindi una questione di sopravvivenza (intesa in senso sociologico, ovvero riguardo alla capacità di procurarsi le risorse come gruppo).
Non vi è quindi alcun obbligo a seguire gli stessi modelli per le scuole tedesca e italiana. Anzi: sarebbe anche controproducente, dato che le esigenze sono così diverse. Si pensi, in aggiunta, alla questione dell’identità collettiva. La comunità sudtirolese ha la primaria esigenza di rafforzarla, anche a scapito di quella individuale. E la scuola tedesca ha anche questa funzione. La comunità altoatesina, invece no. Ed è anche questa, una differenza non da poco.
In ogni caso, la questione purtroppo non si esaurisce con una scuola bilingue. Come ben sa Liliana Turri, che al riguardo ha scritto su salto.bz due interventi da citare («Il bilinguismo impossibile» https://bit.ly/3wRaKqw e «Bitte standarddeutsch, siamo in Europa» https://bit.ly/3kUfTLu) la lingua sostanziale della comunità sudtirolese è sempre meno il tedesco e sempre più il dialetto. Non è il caso di stare qui ad indagare il fenomeno (che per me è riconducibile ad una sorta di Nation Building, ovvero un processo di costruzione di una identità “nazionale”) perché meriterebbe una trattazione ben più approfondita. Ma sicuramente per la comunità altoatesina costituisce un problema in più.
PS. In appoggio alla mia “verve polemica”, devo anche dire che il dibattito sull’efficienza o meno della scuola bilingue, e dei sistemi da essa adottati, per il gruppo etnolinguistico italiano, sollecitato – come sempre più spesso accade – da parte di persone appartenenti al gruppo etnolinguistico tedesco, o comunque che hanno frequentato o frequenterebbero la scuola tedesca, lo trovo irricevibile. O, detto ad usum delphini: di che s’impicciano e cosa gliene frega ai sudtirolesi che criticano i metodi formativi che noi altoatesini vorremmo adottare nella nostra scuola datoche lo Statuto le impone rigorosamente separate per gruppo etnolinguistico (e ai tempi miei, con separate pure le pause immagino in ossequio alla dottrina Zelger, ovvero il personaggio che ha retto il relativo assessorato per decenni)?
Le do ragione in quasi tutto. Solo una cosa mi sembra un po azzardata. Il nostro dialetto(in verita sono tanti diversi, non uno) non é un fenomeno, ed é ancora di meno una sorta di nation building. I dialetti c'erano gia, quando non si doveva ancora salvaguardare la propria lingua madre. Sembra, che Lei pensi, che noi usiamo il dialetto contro gli italiani, ma spero di sbagliarmi in merito.
«Sembra, che Lei pensi, che noi usiamo il dialetto contro gli italiani, ma spero di sbagliarmi in merito.»
E' proprio perché teorizzo che il dialetto sudtirolese sia sostanzialmente assurto (innalzato, salito) a lingua fondativa, che non penso che sia utilizzato contro gli italiani. Anzi: da mia esperienza, ai miei amici e conoscenti sudtirolesi dispiace che io non lo parli (il dialetto) perché sentono che se lo sapessi si potrebbe comunicare ancora meglio.
PS Una coinquilina, pugliese, di mia figlia studia linguistica tedesca e inglese all'UniBO (si trasferirà a breve in Germania per la specialistica). Da lei ho avuto conferma della mia tesi quando mi ha raccontato che c'è tutto un filone di ricerca che si occupa del dialetto sudtirolese e della sua funzione nel processo di costruzione di identità. Una importante risorsa a cui attinge per le sue ricerche è il DiDi Corpus, un corpus linguistico composto di post, commenti e messaggi Facebook scritti in dialetto sudtirolese. Di seguito il link:
https://www.eurac.edu/en/institutes-centers/institute-for-applied-lingui...
"E' proprio perché teorizzo che il dialetto sudtirolese sia sostanzialmente assurto (innalzato, salito) a lingua fondativa, che non penso che sia utilizzato contro gli italiani."
Ich zitiere von DiDi Corupus:
"In regions of the German speaking area where dialect is frequently used in different communicative contexts, regional and social codes are often also used in written computer mediated communication."
Dass der Dialekt aufgrund sozialer Medien und SMS/Whatsapp mehr auch im schriftlichen Kontext benutzt wird, ist ein Phänomen des gesamten deutschen Sprachraums, ich denke besonders des südlichen Teils. Mit einem Südtiroler Nation Building Prozess hat das nicht viel zu tun. Im mündlichen Kontext war der Dialekt früher mindestens genau so verbreitet wie heute, ich denke sogar, dass er früher viel verbreiteter war. Er wurde meiner Beobachtung nach auch abgeschwächt durch die Übernahme von Wörtern, die nicht regional eingefärbt sind (wie tschüss oder ähnliches), was früher undenkbar war.
"sollecitato – come sempre più spesso accade – da parte di persone appartenenti al gruppo etnolinguistico tedesco, o comunque che hanno frequentato o frequenterebbero la scuola tedesca, lo trovo irricevibile."
Also sollen Italiener nicht bei Angelegenheiten der Südtiroler, Männer nicht bei Angelegenheiten der Frauen oder umgekehrt (z. B. bei Themen wie Wehrdienst), Homosexuelle nicht bei Angelegenheiten der Heteros mitreden dürfen. Tut mir leid, aber Demokratie funktioniert so nicht.
da Dennis Loos: "Also sollen Italiener nicht bei Angelegenheiten der Südtiroler, Männer nicht bei Angelegenheiten der Frauen oder umgekehrt (z. B. bei Themen wie Wehrdienst), Homosexuelle nicht bei Angelegenheiten der Heteros mitreden dürfen. Tut mir leid, aber Demokratie funktioniert so nicht."
Certo che ognuno può esprimere la sua opinione! Basta poi non trasferirla sulla scheda elettorale per farla diventare, chiaramente a maggioranza, un sacrosanto diritto negato nella realtà di una provincia governata da tempi immemori dalla stessa maggioranza politica! La minoranza locale italiana ha bisogni e sofferenze di cui il partito di maggioranza per statuto non si occupa. Le abitudini sono difficili da eliminare, anche quando si governa un'intera provincia, comprensiva dei suoi cittadini italiani.
Per me, e lo ribadisco, la soluzione è libera scuola in libera provincia. Nella mia - italiana - faccio quello che mi pare. Nella tua - tedesca - fai quello che ti pare. Se hai deciso che l'articolo 19 è un dogma di fede elevato all'assoluto e parimenti immutabile, buon pro ti faccia. Ma lo vai ad idolatrare a casa tua. E non ti permetti di venirmi a dire quello che posso o non posso fare a casa mia.
Zitat: “Ma lo vai ad idolatrare a casa tua. E non ti permetti di venirmi a dire quello che posso o non posso fare a casa mia”
Jetzt ist die Katze aus dem Sack: all die vielen Artikel und Kommentare, nur um DAS jetzt mal loszuwerden:
“E non ti permetti di venirmi a dire quello che posso o non posso fare a casa mia”!
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Es gehen Ihnen offensichtlich der Schutz der Minderheit und die Zweisprachigkeit derart auf die Nerven.
Aber was tun Sie hier SELBST?:
“casa mia” ist also jeweils unsere Wohnung, unser Haus, unsere Provinz, unser Staat, unser Europa.
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Und obwohl Sie schreiben: “E non ti permetti di venirmi a dire quello che posso o non posso fare a casa”, tun SIE SELBST genau das: si permette a dir quello che possiamo o non possiamo fare a casa nostra.
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Ja, jetzt ist die Katze aus dem Sack; geahnt hat man es schon beim ersten Artikel, dem bereits “dieser Geruch” anhaftete - ich hatte mich nicht getäuscht.
Volle Zustimmung .
Hier liebt meiner Ansicht nach ein massiver Fehler vor (Zitat):
“La minoranza locale italiana ha bisogni e sofferenze di cui il partito di maggioranza per statuto non si occupa”.
(1) La “minoranza locale” ist die deutschsprachige Bevölkerung von wenigen 100.000 innerhalb der italienischsprachigen von dutzenden Millionen. Die ist die empirische Lage, dies ist die nationale und internationale Rechtslage.
(2) Für das Mehrheitsvolk im gesamten Staatsgebiet “si occupa” der Staat.
(3) In der italienischen Verfassung und im Autonomiestatut si occupa der Staat gleichermaßen allen seinen Bürgern.
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Im Minderheitengebiet das Mehrheitsvolk als die eigentlich schützenswerte Minderheit zu bezeichnen ist wenig professionell, rechtlich unrichtig, moralisch bedenklich: der zu Schützende wird plötzlich der, vor dem man sich schützen muss - verkehrte Welt.
Per capirlo (quello che dico), basta evocare l'opposto. Si può solo immaginare quale sarebbe la reazione di una certa quota parte della comunità sudtirolese se noi altoatesini "mettessimo becco" nelle modalità di insegnamento in atto nella scuola tedesca. Oltre a darci dei fascisti irriducibili - ma a quello, ormai, siamo abituati - probabilmente ce li ritroveremmo, metaforicamente parlando, sotto casa con i forconi. La cosa interessante - ma in realtà dovrei scrivere tragica - è che il contrario di quello che ho scritto, ovvero "mettere becco" nelle modalità di insegnamento in atto nella scuola italiana (quando chiunque capisce quanto in questo caso il "mettere becco" sollevando obiezioni sull'efficacia del metodo scelto sia strumentale e volto ad ostacolare quanto più possibile il passaggio ad una scuola bilingue), è un esercizio di democrazia e guai se qualcuno obietta. Siamo nell'ambito del bue che dà del cornuto all'asino, alla fin fine. E ci sarebbe da ridere, se non fosse da piangere...
Man hat Sie jetzt sehr gut verstanden:
https://www.salto.bz/de/comment/118326#comment-118326
Zitat: “ Per capirlo (quello che dico)...”:
Man hat Sie jetzt sehr gut verstanden:
https://www.salto.bz/de/comment/118326#comment-118326
„Certo che ognuno può esprimere la sua opinione! Basta poi non trasferirla sulla scheda elettorale per farla diventare, chiaramente a maggioranza, un sacrosanto diritto negato nella realtà di una provincia governata da tempi immemori dalla stessa maggioranza politica!“
Das wird ja immer besser. Eine eigene Meinung darf man also haben, solange man nicht danach wählt. Der Begriff Demokratie ist Ihnen vertraut?
„La minoranza locale italiana ha bisogni e sofferenze di cui il partito di maggioranza per statuto non si occupa. Le abitudini sono difficili da eliminare, anche quando si governa un'intera provincia, comprensiva dei suoi cittadini italiani.“
Es gibt in Südtirol keine minoranza locale italiana, aber es gibt eine Gruppe von Menschen in Südtirol, die es sich zur Aufgabe gemacht hat, diesen Fake zu verbreiten und durch Wiederholung zur „Realität“ werden zu lassen.
Ho trovato qui su salto.bz un articolo relativo alla proposta fatta dall'allora senatore Francesco Palermo (https://bit.ly/3lfmT5G)
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C'è un altro Sudtirolo?
Polemiche, equivoci e silenzi sulla proposta di istituire una scuola bilingue in Alto Adige.
La proposta del senatore Francesco Palermo sull'istituzione di una scuola bilingue in Alto Adige ha suscitato, come prevedibile, una serie di reazioni di tono assai diverso. A parte il fuoco di sbarramento della destra nazionalista sudtirolese che ormai, Trump docet, ha organizzato militarmente la propria capacità di intervento nei forum e nei social media, Palermo ha incassato l'approvazione delle forze politiche che lo hanno portato in Parlamento, Verdi PD e SEL, le critiche più o meno arzigogolate della destra italiana e infine l'acida indifferenza del principale interlocutore in questa partita. Per la Suedtiroler Volkspartei quella del senatore non è altro che una fuga in avanti decisa a livello puramente personale. Come a dire che l'idea non ha un futuro.
La questione, invece, è di enorme importanza e l'iniziativa di Palermo rappresenta una cartina di tornasole che dovrebbe obbligare a prendere una posizione chiara non solo gli esponenti politici, ma anche molte altre persone e forze che da troppo tempo, in provincia di Bolzano, paiono svanite nel nulla.
Ancora una volta, però, guardare al passato significa poter avere una migliore comprensione del presente e forse anche qualche elemento per costruire il futuro.
Quello della scuola, non bisogna mai dimenticarlo, è il terreno sul quale, negli ultimi centocinquant'anni, i due opposti nazionalismi, italiano e tedesco, hanno giocato la partita più dura nelle terre bagnate dal fiume Adige. Ancora a metà dell'ottocento sono le scuole a diventare gli avamposti di conquista o di difesa nazionale nel confronto che si gioca sui confini linguistici. Lo scontro diviene frontale dopo l'annessione dell'Alto Adige all'Italia. In molte località della Bassa Atesina l'apertura delle scuole italiane è osteggiata in ogni possibile maniera. Nel 1922 i fascisti fanno la prova generale della Marcia su Roma occupando con la violenza, Bolzano, la scuola intitolata ad Elisabetta d'Austria e dedicandola alla Regina Elena. Durante il ventennio sono le scuole clandestine, Katakombenschulen, a rappresentare la punta di diamante della resistenza sudtirolese nei confronti del Regime. Nel secondo dopoguerra lo sforzo disperato della società sudtirolese per ridare vita alla scuola di madrelingua tedesca è il segno più evidente della volontà del gruppo linguistico di continuare a lottare per la propria esistenza. Nasce e si afferma in questo modo il sistema della separazione totale tra i sistemi educativi in lingua italiana e in lingua tedesca. È un frutto necessario della storia, sul quale i giornalisti italiani che arrivano a Bolzano in cerca di facili sensazioni, ricameranno per anni, giocando con spregiudicatezza su termini come "apartheid", o sull'immagine delle due scuole medie di Oltrisarco divise da una recinzione.
Verso la fine degli anni 70, tuttavia, due nuovi elementi vengono a turbare un quadro che pareva essersi ormai consolidato. Il gruppo linguistico italiano, cresciuto attorno al concetto-base "qui siamo in Italia e qui si parla italiano", scopre con sgomento che le norme della nuova autonomia lo obbligano ad imparare il tedesco se vuole continuare ad accedere a quel pubblico impiego che è stato per decenni una sua riserva di caccia illimitata. Inizia in quegli anni, non prima sia chiaro, una lunga riflessione collettiva sui modi per rendere più agevole ai giovani italiani l'apprendimento di una lingua "così difficile" come quella tedesca. Il primo sbocco di questo processo è quello dell'insegnamento precoce, ovverossia nelle scuole materne, vero toccasana, si dice, per favorire la conoscenza della seconda lingua. L'esperimento varato a metà degli anni 70 dagli asili comunali bolzanini viene però bruscamente stoppato dalla Suedtiroler Volkspartei, che ne fa una questione di rigida applicazione dell'articolo 19 dello Statuto. È l'inizio di una guerriglia politica che conosce momenti di grande tensione e che trova nuovo alimento, una decina d'anni dopo, per far comparire sulla scena di un'altra proposta didattica, quella della cosiddetta "immersione", ovverossia dell'insegnamento, nella seconda lingua, di normali materie come la matematica o la geografia. Anche in questo caso la SVP si oppone in ogni maniera alla novità, alimentando tutta una serie di illazioni sul fatto che i politici sudtirolesi non desiderino per nulla che gli italiani possano, imparando il tedesco, radicarsi realmente nella realtà altoatesina. Accuse nelle quali le rivalità politiche del tempo hanno la loro importanza, ma certo è che l'interpretazione rigida del famoso articolo 19 dello statuto mostra tutta la sua fragilità negli anni successivi, quando invece, grazie alla costante pressione dei partiti italiani di governo in Provincia, molte delle cose che fino a qualche anno prima erano vietate, l'insegnamento del tedesco negli asili, l'utilizzo della seconda lingua per l'insegnamento di diverse materie, vengono, ad un tratto, quantomeno tollerate se non ufficialmente consacrate.
Nello stesso momento in cui si sviluppa questo aspro confronto sulle difficoltà di apprendimento della seconda lingua, soprattutto, va detto, per il gruppo italiano, un altro tema di ancor maggiore delicatezza si affaccia sul proscenio della politica altoatesina. Alla fine degli anni 70 il gruppo che si raccoglie nella Nuova Sinistra - Neue Linke di Alexander Langer pone con forza il problema dell'esistenza di una realtà che non si vuole riconoscere necessariamente in uno dei tre gruppi ufficiali consacrati dal dettato autonomistico. È l'Alto Adige dei mistilingui che rifiutano di farsi ingabbiare in una struttura sociopolitica che non ammette scelte differenti da quelle tese al mantenimento perenne di una divisione senza punti di contatto. Una delle rivendicazioni fondamentali che partono da questa affermazione è quella di superare la rigida tripartizione anche nel mondo della scuola. Occorre, affermano gli alternativi, creare una scuola bilingue che possa accogliere non solo gli alunni provenienti da famiglia mistilingui, ma anche tutti coloro che non si sentono a loro agio nel sistema della separazione a tutti i costi.
Sarà per il fatto che, come detto, le due questioni vengono poste a livello politico più o meno negli stessi anni, ma da allora, e sino ad oggi, c'è una certa confusione tra il tema politico della scuola bilingue e quello degli strumenti per assicurare una miglior conoscenza della seconda lingua. Non che le due cose non possano essere in qualche modo collegate. È più che probabile che gli studenti di una futuribile scuola bilingue avrebbero garantiti livelli di conoscenza che oggi, per essere conseguiti, esigono scelte radicali come quella di scrivere gli alunni agli istituti dell'altro gruppo linguistico, ma le questioni, per una fondamentale esigenza di chiarezza, devono rimanere assolutamente distinte.
Se si chiede l'istituzione di una scuola bilingue, come ha fatto Francesco Palermo con la sua proposta di legge, non lo si fa per dare un nuovo strumento agli italiani per imparare meglio il tedesco. Lo si fa perché si ritiene giunto il momento di riconoscere, anche attraverso uno strumento fondamentale come quello dell'educazione scolastica, che l'Alto Adige-Sudtirolo non è più quello degli anni Cinquanta. Il processo di cambiamento sociale e culturale ha favorito la nascita di una realtà sociale che non può più essere inscatolata a forza nella tripartizione storica immaginata nel 1948 e pietrificata nel 1972. La realtà sta cambiando a ritmi incalzanti e il mondo, con le sue migrazioni umane e le sue felici contaminazioni culturali, non si ferma davanti ai confini provinciali. L'idea di un quarto tipo di scuola che possa accogliere i frutti di questi cambiamenti non è solo benefica, ma, a parere di chi scrive, assolutamente necessaria.
Proprio per questo vien da chiedersi, senza voler far polemica ma con grande rammarico, perché nel dibattito che la proposta di Francesco Palermo ha avuto il merito di suscitare, sia completamente mancata, sino ad oggi, la voce dei soggetti che hanno sostenuto, nel corso dei decenni, il peso di portare avanti queste tematiche. Non parliamo, è ovvio, dei politici militanti che, come abbiamo visto, con maggiore o minore intensità, qualcosa hanno detto. Ci riferiamo al mondo della cultura, della scuola in particolare, a quel mito ricorrente della cosiddetta "società civile" che pure su queste tematiche molte cose ha detto nei decenni passati.
Esiste ancora l'altro Sudtirolo?
Se c'è, per cortesia, batta un colpo.
«A parte il fuoco di sbarramento della destra nazionalista sudtirolese che ormai, Trump docet, ha organizzato militarmente la propria capacità di intervento nei forum e nei social media...»
Fenomeno di cui faccio personalmente esperienza da quando sono nuovamente "sbarcato" su salto.bz (ovviamente in base ai temi di cui mi occupo, ça va sans dire)
Mi sta dando del "nazionalista sudtirolese di destra"?
Das wars dann wohl. Suchen Sie sich doch ein anderes Feld zu bespielen, hier auf Salto sind doch eh alle, die mit Ihnen diskutieren, Ihnen widersprechen, oder einfach nur eine eigene Meinung kundtun, "Trump docet".
No signor M.Gasser.
Wie sollte ich denn dann das oben Geschriebene verstehen? Mit Ihrem Kommentar rücken Sie alle Südtiroler, die mit Ihnen diskutieren, ins rechte Eck. Ist Ihnen das gar nicht bewusst, oder ist es Ihnen einfach nur egal?
Forse è un problema di sensibilità linguistica, signor M.Gasser?
Se scrivo «Fenomeno di cui faccio personalmente esperienza da quando sono nuovamente "sbarcato" su salto.bz (ovviamente in base ai temi di cui mi occupo, ça va sans dire)» vuol dire che mi è capitato e mi capita. Non che mi capita ogni volta sotto ogni commento. Quindi non è vero che «Mit Ihrem Kommentar rücken Sie alle Südtiroler, die mit Ihnen diskutieren, ins rechte Eck.» Le ho già detto che non lo penso minimamente.
Poi, se vuole, possiamo confrontarci sul concetto e significato di «destra nazionalista sudtirolese» citata nel mio commento. Lei è d'accordo sul fatto che - e mi riferisco a quanto espresso a suo tempo da Günther Pallaver e altri riguardo alla classificazione politologica - Südtirol Freiheit possa essere annoverata tra le destre nazionaliste sudtirolesi?
Certo.
Auch hier bitte ich um Klarstellung, wenn Sie schreiben:
“ ... fuoco di sbarramento della destra nazionalista sudtirolese”:
da ich anderer Ansicht bin als Sie, meinen Sie auch mich, der ich politisch absolut untätig bin, als “destra nazionalista”?
So wie Sie bereits von
“...ad un certo modo di intendere la tirolesità ‘così come legato all'antisemitismo’” gesprochen hatten.
.
Auch Putin nennt alle, die seine Ansicht nicht teilen, Nazis: bin ich nun ein “destra nazionalista” und von einer “tirolesità ... così come legato all'antisemitismo”?
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Ich bitte Sie höflich, verbal abzurüsten und zu deeskalieren; ich habe eine Meldung an Salto geschickt und lasse Ihren Text hier auch privat prüfen: es gibt eine Grenze des Erlaubten (Ihre Abneigung gegen Dialekt und deutsche Sprache, gegen “Tirolertum” und Autonomie in Ehren, das dürfen Sie haben und sein) und dem Zusammenleben erweisen Sie hier ganz klar einen Bärendienst, so meine Sicht der Dialoge und Ihrer in meinen Augen teils absurden bis ehrrührigen Aussagen.
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(Sie scheinen im Verhalten wirklich von einer “Gehässigkeit” gegen alles Deutsche, Tirolerische und einer Art “Kreuzzug” geleitet, so scheint es mir - sehe ich das zu dünnhäutig?).
Sehr geehrter Herr Gasser,
sehr geehrter Herr Marcon,
bitte schalten Sie beide einen Gang zurück und verzichten Sie auf weitere Eskalationen. Ihre Meldungen der Kommentare des jeweils Gegenüber wurden zur Kenntnis genommen, wir bitten Sie aber um Einsichtigkeit.
Bei weiteren Verstößen gegen die Netiquette wird der Kommentarbereich hier gesperrt.
Wir hoffen auf Ihr Verständnis.
- Salto-Community-Management
Spettabile Salto Community Management,
non so se lo avete notato - ma nel caso dovreste applicarvi un poco di più - ma io non rispondo direttamente ai commenti del signor P.Gasser da un bel po' di tempo. Ciò però non impedisce all'individuo in questione di seguirmi per ogni dove e replicare a qualsiasi cosa io scriva per i temi e con i modi che potete vedere voi stessi.
Per quel che mi riguarda, i commenti li potete bloccare come e quando vi pare. Evitate però di accomunarmi a questo signore. Grazie.
Luca Marcon.
Das ist ein reines ad hominem Argument, Herr Marcon. Für solche Kommentare wurden andere Diskussionsteilnehmer vom Community Management gerügt. Ich auch.
Stört es Sie aber sehr, Ihre „Wahrheit“ von den Nazi-Südtiroler:innen nicht unwidersprochen verbreiten zu können?
L'argomento ad hominem presuppone una persona identificata, signor Loos: per prenome e cognome, oppure parimenti riconoscibile. Come quello che ha appena scritto lei, per intenderci:
«Stört es Sie aber sehr, Ihre „Wahrheit“ von den Nazi-Südtiroler:innen nicht unwidersprochen verbreiten zu können?»
Ich bedanke mich beim SCM für die Klarstellung und Moderation.