Alla legge SVP, sulla cui conferma siamo chiamati ad esprimerci la domenica prossima, manca una gamba essenziale per camminare, il referendum confermativo sulle leggi ordinarie del Consiglio provinciale e su atti importanti della Giunta. Si tratta di uno strumento in Italia troppo sconosciuto, perché attuabile solo per una fattispecie molto specifica, le modifiche costituzionali, e quindi applicato solo due volte, nel 2001 e nel 2006 (senza quorum).
Anche a livello provinciale questo "referendum di veto" è previsto solo per due casi: la votazione sulla legge elettorale e quella sulla partecipazione dei cittadini. Nei sistemi con democrazia diretta più moderna, per contro, questo strumento è quello più utilizzato dai cittadini. Sulle circa 500 votazioni referendarie tenute in Svizzera (livello federale) dal 1891 ad oggi circa 350 erano referendum di veto, solo 150 iniziative legislative popolari. Di queste ultime sono passate neanche il 10%, mentre i referendum "di veto" hanno avuto successo nella metà dei casi. Una macchina di partecipazione priva di questa ruota non riesce neanche a partire.
Dall'altra parte la legge SVP ha applicato un freno anche sul secondo strumento di base, l'iniziativa popolare. Far arrivare una proposta di legge popolare alla votazione con questa legge diventa una corsa ad ostacoli, che anziché promuovere la partecipazione (art.123 della Costituzione), finirà di nuovo a scoraggiarla. Perché?
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Una votazione referendaria richiede prima di tutto la richiesta popolare con almeno 8.000 firme raccolte entro 6 mesi. A questo punto il Consiglio provinciale può elaborare una proposta alternativa a questa richiesta. Poi decide una Commissione nominata dalla Provincia, se la richiesta civica è stata soddisfatta o meno, non invece gli stessi promotori! Se i giudici interpretano l'affare nell'interesse del Consiglio, tutta la procedura finisce lí.
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Se invece la Commissione desse via libera al proseguimento i promotori devono raccogliere 26.000 firme in soli due mesi, un ostacolo enorme. Se uno dei tre gruppi linguistici all'interno del Consiglio ritiene il quesito "etnicamente sensibile", la maggioranza semplice di questo gruppo (nel caso dei ladini un unico consigliere) può bloccare tutto. Qui sempre si troverà qualche cavillo, mentre non è prevista un'istanza che possa valutare in forma neutra se quel motivo regge. Di nuovo la procedura finirebbe lì.
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Se nonostante tutte queste barriere una votazione popolare fosse andata in porto, sarebbero passati niente fra 3 e 4 anni. Se si trattasse di un progetto di costruzione i lavori sarebbero già partiti e forse conclusi, i soldi sprecati, il danno compiuto - e tutto questo contro la volontà degli elettori.
Questi sono solo due dei almeno 20 difetti di questa legge che non serve ad altro che alzare un altro muro di gomma contro strumenti referendari efficaci, favorevoli alla partecipazione dei cittadini. Chi invece desidera una democrazia diretta che realmente possa funzionare, il 9 febbraio deve votare NO.
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