Ho letto tante cose in questi giorni da Parigi e, purtroppo, molte delle cose le ho lette su Facebook. I Social Network però non sono altro che un enorme bar dove l'habitué discute di argomenti da bar con un altro habitué mandando già una birra e mangiando patatine. Gli argomenti quindi rimangono quelli del bar solo che riescono ad uscire da quelle quattro mura e riescono ad entrare alla portata di tutti. Ma anche questo è libertà, anche se a volte viene da mettersi le mani nei capelli.
Spesso la dinamica è questa: c'è chi scrive una cosa e c'è chi scrive qualcosa contro chi scrive quella cosa. Quindi il mondo dei social networks si divide in chi scrive #JeSuisCharlie e chi scrive che chi scrive #JeSuisCharlie è ipocrita perché in realtà non fa niente per essere Charlie.
Che ci sia una bella dose di ipocrisia nello scrivere questo Hashtag non ne ho dubbi, basti pensare che viviamo in uno stato dove spesso nei principali quotidiani ed emittenti locali e nazionali non è possibile fare satira sulla Chiesa!
Detto questo il significato dell' #EssereCharlie" è importante: non è un dovere, nessuno "deve" essere Charlie, nemmeno chi scrive "Je Suis Charlie", ma ognuno deve avere il diritto di poterlo essere. Ieri a Parigi le strade erano piene di persone con adesivi, cartelli, striscioni, da Place de la République a Notre-Dame (quindi non solo lungo il percorso della manifestazione che portava a Nation). Certo, qualcuno lo avrà fatto perché lo fanno tutti, ma non me ne faccio certo un problema. Ho visto milioni di persone scendere in piazza e questo è già una bella libertà di espressione che non va sottovalutata.
PS: il problema delle "pecore" che seguono la corrente senza sapere non penso che sia un problema recente. Sono sicuro che in tutte le rivoluzioni, rivolte e manifestazioni una buona fetta dei partecipanti abbia seguito l'onda senza sapere troppo.
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Roberto Tubaro
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