Giovanni Palatucci, commissario capo della questura di Fiume negli anni della guerra, è nato nel 1909 e deceduto a Dachau il 10 febbraio 1945 a soli 36 anni. La chiesa cattolica ha dato risalto alla figura del giovane funzionario, fervente cattolico, fin dagli anni dell’immediato dopoguerra, quando uno zio, il vescovo Giuseppe Maria Palatucci, diede risalto pubblico all’eroica figura del nipote. A partire dal 2000 è stata avviata la procedura di canonizzazione, che si è conclusa nel 2004 con un primo riconoscimento. Ma già nel maggio del 2000 Giovanni Paolo II lo aveva salutato come uno dei martiri del XX secolo. E dieci anni prima Yad Vashem, l’istituzione ufficiale di studio e di memorializzazione della shoah in Israele, aveva riconosciuto il funzionario come “Giusto fra le nazioni”. Si tratta di un riconoscimento, avviato dal 1963 e basato su testimonianze e documenti, che si fonda sul principio caro alla religione ebraica, secondo il quale vi sono dei “giusti” anche fuori dall’ebraismo. Giusti che l’ebraismo ha il dovere di riconoscere per la loro bontà d’animo e fermezza, nello specifico per avere dato aiuto a ebrei in difficoltà durante gli anni drammatici della seconda guerra mondiale.
Questa fama, che è stata accompagnata da riconoscimenti in Italia e nel mondo (concessione della medaglia d’oro al merito civile nel 1995, intestazione di strade, scuole e piazze, emissione di un francobollo commemorativo, realizzazione da parte della RAI di una miniserie televisiva nel 2001) si fonda su una narrazione consolidata: Palatucci, giovane funzionario di polizia in una zona delicata come Fiume, si sarebbe opposto all’esecuzione degli ordini di consegna di ebrei residenti nel territorio ai tedeschi sia prima che dopo l’8 settembre 1943, quando Fiume entrò a far parte della Zona d’Operazioni Litorale Adriatico (Operationszone Adriatisches Küstenland), omologa della OZ Alpenvorland, di cui facevano parte le provincie di Bolzano, Trento e Belluno. A Palatucci viene attribuito il salvataggio di circa 5.000 ebrei dallo sterminio. Gli viene anche attribuito il nobile gesto di avere rifiutato un possibile salvataggio in estremis dalla cattura, per cercare di nascondere fino all’ultimo le liste degli ebrei fiumani. Per la sua opposizione agli ordini tedeschi Palatucci sarebbe stato infine catturato dal maggiore Kappler (il protagonista della strage delle Fosse Ardeatine) e deportato prima alla Risiera di Trieste e poi a Dachau. Il martirio riconosciutogli dalla Chiesa cattolica risiede proprio in questo (come padre Kolbe, o Salvo d’Acquisto): l’essersi sacrificato per altri, innocenti, più che nel salvataggio di ebrei in difficoltà.
Ora nuovi documenti (meglio: vecchi documenti, finora non studiati con attenzione, o forse mai studiati in assoluto) mettono in discussione la figura di Palatucci e i suoi meriti. La stampa nazionale e internazionale in questi giorni dà notizia di documenti rivelatori che Palatucci abbia eseguito gli ordini, da fedele funzionario del Regno e poi, dopo la costituzione dell’Adriatisches Küstenland, consegnando gli ebrei ai loro carnefici. Quindi, un capovolgimento drastico: da salvatore e martire a collaboratore dello sterminio.
Ne è scaturita inetivabilmente una serie di azioni – come la decisione dello Holocaust Museum di Washington di togliere il suo nome dall’elenco dei Giusti o l’avvio da parte di Yad Vashem di una verifica sui documenti- che a livello locale hanno trovato riflesso nella richiesta del consigliere comunale bolzanino Guido Margheri di cancellare l’intestazione di una piazza della città al funzionario di polizia. Io non ho personalmente alcun elemento per valutare se le critiche di oggi siano fondate, o meno. Certo, che a Fiume risiedessero ufficialmente non più di 500 ebrei è noto, e da 500 ai 5.000 salvati da Palatucci il salto è grande…E stando a un articolo pubblicato da New York Times pochi giorni fa già nel 1952 in un rapporto del Ministero degli Iterni si metteva in discussione la fondatezza dei meriti attribuiti a Palatucci.
Vorrei però fare tre osservazioni di carattere generale, che forse possono servire per il futuro:
- non ha molto senso scatenarsi tutti, adesso, nella direzione opposta, chiedendo di cancellare ciò che è stato deciso in passato. L’azione del consigliere Margheri mi sembra perciò intempestiva. Potremmo cadere dalla padella nella brace, ritrovandoci fra qualche anno di fronte a una nuova interpretazione, di segno nuovamente opposto.
- Diamo il tempo e lo spazio agli storici di studiare, di fare il loro mestiere, che però non sempre sembra che essi vogliano fare. Che oggi il grande studioso dell’ebraismo italiano Michele Sarfatti sollevi dubbi mi induce a chiedermi – senza malizia – dove fosse Sarfatti quando Palatucci era portato all’onore della cronaca. Documenti finora ignoti possono emergere a ogni momento, e documenti già noti possono venire riletti con una prospettiva nuova. Spetta agli storici il compito di far ricerca, instancabilmente, senza accettare mai un’interpretazione come un dato acquisito, immutabile. In questo caso forse ciò non è successo!
- Siamo più prudenti; soprattutto sia più prudente la Chiesa che fin da tempi remoti sembra avere cavalcato senza incertezze l’idea di Palatucci eroe e martire. Anche qui senza malizia: forse alla Chiesa serviva, serve, qualche santo italiano contemporaneo. Ne abbiamo così pochi! Ma proprio la Chiesa, che dispone di una straordinaria mole di documenti dovrebbe essere cauta, far lavorare i propri ricercatori, e non solo i propagandisti!
Da quando gli uomini hanno iniziato a riunirsi in collettività hanno avuto bisogno di figure eroiche, punto di riferimento e di legittimazione. Ma gli eroi debbono avere fondamenta solide, soprattutto in una democrazia, in cui la costruzione di una figura eroica è frutto di una complessa interazione fra culture, istituzioni, pezzi d’opinione pubblica. Stiamo perciò attenti agli eroi che costruiamo, per non vederceli poi crollare d’un colpo in un mare di polvere.
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