Carlos Kleiber è una di quelle figure che si incontrano forse in tutti gli ambiti: il grande maestro che sfugge alle luci della ribalta, apprezzato e venerato da una cerchia ristretta. È così che nasce la cultura. Parole pronunciate da persone di cui ci fidiamo. Mi fido della persona che mi ha espresso la sua opinione su Kleiber. E ora mi fido di Kleiber, le cui parole mi hanno toccato come se fossero una sfida. Come mi suonano familiari queste parole!
Ogni esempio di uso linguistico ‘sbagliato’ è lampante, e come un fulmine trasmette assieme agli ‘errori’ i parametri infranti in quell’occasione. Tutto è subito chiaro, mentre la ragione del successo rimane misteriosa. Il successo nell’imparare a parlare e a scrivere bene, è un obiettivo importante. Quindi lascio la parola al mio maestro. Alla persona che mi ha insegnato l’arte dello scrivere, dal cui esempio si può imparare come si fa.
Il mio maestro ha insegnato la lingua ai ragazzi più bisognosi, ragazzi di montagna lontani dalle scuole, allontanati dalle scuole quando le frequentavano. Bocciati non appena aprivano la bocca. “Non bocciare!” era, allora, il grido di dolore trasmesso dal libro, “Lettera a una professoressa” – che il loro Maestro avevo scritto per loro, con loro, per ricordare al mondo l’ingiustizia più crudele, ignorata benché sotto gli occhi di tutti.
Nella sua scuola di Barbiana, Don Milani ha insegnato a questi ragazzi a leggere e scrivere, e il suo insegnamento vale anche per altri, per coloro che sono già arrivati in alto, forse al primo gradino della carriera accademica, e che farebbero bene ad ascoltare le parole di un autentico Maestro. Questo Maestro, alla fine della sua breve vita, sollecitato dalle parole di un’insegnante che gli aveva espresso solidarietà e comprensione, ha quasi incidentalmente trasmesso l’essenza del suo insegnamento:
"Abbiamo scritto la lettera ai giudici come un’opera d’arte. Purtroppo nelle centinaia di lettere che ci arrivano dall’Italia e dall’estero ci accorgiamo che pochissimi se ne sono accorti.
Tutti pensano che abbiamo delle bellissime idee. Pochi, forse due o tre persone in tutto, si sono accorti che per schiarire le idee così a noi stessi e agli altri bisogna mettersi a lavorare tutti insieme per mesi su poche pagine. Allora tutti sapranno scrivere come noi e non ci sarà più bisogno di rivolgersi a noi con venerazione come se fossimo toccati dalla grazia.
Chiunque se vuole può avere la grazia di misurare le parole, riordinarle, eliminare le ripetizioni, le contraddizioni, le cose inutili, scegliere il vocabolo più vero, più logico, più efficace, rifiutare ogni considerazione di tatto, di interesse, di educazione borghese, di convenienza, chiedere consiglio a molta gente (sull’efficacia non sulla convenienza). Alla fine la cosa diventa chiara per chi la scrive e per chi la legge.
La lettera ai giudici è stata un dono che abbiamo ricevuto e abbiamo fatto. Prima di scriverla né io né i ragazzi sapevamo quelle cose… Mi scusi, mi sono distratto, le stavo dando una lezione dell’arte dello scrivere che lei non mi ha aveva chiesto. Ma è che l’arte dello scrivere è la religione. Il desiderio d´esprimere il nostro pensiero e di capire il pensiero altrui è l’amore. E il tentativo di esprimere le verità che solo s’intuiscono le fa trovare a noi e agli altri. Per cui esser maestro, esser sacerdote, essere cristiano, essere artista e essere amante e essere amato sono in pratica la stessa cosa.»
Il desiderio di dire qualcosa. Senza l’intenzione, senza il desiderio di dire, di capire e di farsi capire, la comunicazione rimane un esercizio sterile e imperfetto.
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