A conti fatti solo due bolzanini su dieci hanno votato per il sindaco che da dieci anni governa una delle città al top, secondo le classifiche della qualità della vita italiane.
Le ipotesi avanzate per spiegare il funesto risultato sono delle più disparate. Una tesi ripetuta come un mantra dalla spaventata (ex) maggioranza è che a Bolzano fermenta un lievito neofascista e nazionalista che si oppone ottusamente alla spinta riformatrice della maggioranza, addirittura paventata come neo-langeriana del sindaco Spagnolli. Un'altra tesi della prima ora, prontamente ritirata con la lettera di autocritica del sindaco pubblicata sui social media, è stata quella della incapacità da parte della popolazione di comprendere l’ardito messaggio riformista portato avanti nel corso dell’ultimo decennio tra convegni promossi dal centro per la pace e intitolazioni di piazze a personaggi di vocazione progressista.
Sono tesi interessanti ma parziali.
Niente dicono sul ruolo marginale che Bolzano continua a giocare a livello provinciale con decisioni che costantemente sono prese sulla testa dei suoi abitanti: dall’aereoporto, alla gestione dei profughi, all’inceneritore.
Non accennano alla crisi della rappresentanza politica italiana resa evidente dai risultati elettorali del partito democratico dalle cui liste riappaiono politici di epoca come Baratta o grandi controllori di risorse come l’ex assessore alle politiche sociali Mauro Randi, in aperta rottura con la linea ufficiale del partito, disconosciuta platealmente dagli elettori.
Poco dicono sulla legge del pollo di Trilussa, sulle enormi diseguaglianze sociali e economiche che caratterizzano la città, anestetizzate maldestramente dalla sinistra progressista di Rifondazione, Sel e ecosociali con le iniezioni di cultura elitaria del Centro per la pace e delle manifestazione sulla fame nel mondo. Niente dicono sulla crisi dei quartieri periferici, sui negozi chiusi da anni nelle strade lontane dal centro, sui costi proibitivi delle abitazioni e degli affitti, sulla disoccupazione giovanile, sull’incapacità di leggere la complessità e l’impatto dei flussi migratori sulla società locale.
E sicuramente meno ancora dicono sulle scelte urbanistiche fatte in costante accordo con le lobbies dei grandi immobiliaristi, con il fallimento di un disegno di programmazione pubblica e partecipata della città, che si è letteralmente disintegrato all’impatto con le mire finanziarie di un imprenditore austriaco a cui sono state improvvidamente aperte dallo stesso sindaco fin troppo porte.
Anche la rivendicazione della presunta pacificazione etnica raggiunta dalla coppia Spagnolli Ladinser appare ai più una triste truffa. Scomparsi gli Ellecosta e gli Atz, le linee di frattura tra comunità italiana e tedesca permangono immobili nella distribuzione delle risorse, nella separazione delle rappresentanze politiche e delle clientele, nella difficoltà di costruire per i giovani un orizzonte fatto di comuni appartenenze a un progetto di crescita cittadino invece che alla origine famigliare e linguistica.
Spagnolli in dieci anni è riuscito a essere tutto e il contrario di tutto: sostenitore giovanile di Andreas Hofer, autoproclamato erede di Alexander Langer, amico dei grandi imprenditori e della “sua gente” che, perse le elezioni, va a cercare al mercato rionale di Via Rovigo. Il suo merito è di avere cercato di tenere insieme le contraddizioni di una città complessa, il suo demerito è quello di non esserci riuscito.
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