Caro figlio. Questa sera, mettendoti a letto, ero un po' distratto, forse te ne sarai accorto. C'erano i miei pensieri, quei tarli che mi trapanano la testa. E che qualche volta, come in questo momento, si trasformano in fantasmi che vorticano nella mia mente. Ti ho messo nel letto, ti ho dato qualche carezza e un bacio; ma intanto pensavo che dovrei chiederti scusa. Sì, dovrei davvero chiederti scusa, per il fatto che sei mio figlio. Non perché, almeno lo spero, io non sia, dal punto di vista affettivo, un padre adeguato. O almeno lo spero. Mi sembra, ma tu potrai smentirmi, di essere un papà amoroso, che ti riempie di attenzioni e gesti d'affetto. Ma c'è questa cosa che mi tormenta: sei mio figlio. E cioè: il figlio di nessuno. Perché le cose stanno così, e ne ho sempre più la conferma: nel nostro Paese, se sei figlio di una persona, diciamo così, normale, hai possibilità limitate, devi conquistarti tutto con le tue sole forze. E non è scontato che tu possa davvero avere tutte le strade aperte. Leggo, ultimamente, del figlio di un ministro che per un anno di lavoro, come libera uscita, ha ricevuto una quantità di denaro che io non guadagnerò mai in tutta la mia vita di lavoro. Questo lavoro che, tra l'altro, spesso ci allontana; come oggi pomeriggio, domenica, che sono stato tutto il pomeriggio a tracciare segni rossi su fogli scritti da ragazzi poco più grandi di te. Questi figli di persone cosiddette importanti, che passano da un lavoro all'altro con facilità, e con compensi sempre molto soddisfacenti, loro sì sono stati fortunati. O forse, devo dirmelo, forse i loro genitori sono stati più bravi di me. Quale sarà, invece, il tuo futuro? Io non lo so, non lo so immaginare. Spero che tu diventi un adulto preparato, capace di affrontare la vita, forte in ogni senso; spero che tu abbia la possibilità di essere quello che più vorrai. Ma di una cosa sono certo: oltre a offrirti la possibilità di studiare, e oltre a darti il mio affetto, io non potrò darti mai nient'altro. Non potrò aiutarti in nessun modo, non avrai nessun binario preferenziale. Non potrò darti nemmeno una casa, e se andrà bene forse potrò lasciarti qualcosa che ti possa almeno un po' aiutare nei momenti in cui ancora ne avrai bisogno. Valeva la pena, piccolo mio, essere mio figlio? Non lo so, comincio a dubitarne. Comincio a pensare di avere sbagliato tutto nella vita, di non avere dato la giusta importanza alle cose a cui avrei dovuto darne. Non ho mai dato importanza al denaro; ma forse, anche per te, avrei invece dovuto farlo. Non ho mai dato importanza alla carriera; invece, forse, sarebbe stato giusto, anche nei tuoi riguardi, fare di più, conquistarmi una posizione dalla quale poterti un po' aiutare. Ormai le cose stanno così, la casualità ha voluto che tu fossi mio figlio, e che io sia stato così indifferente a certe cose. Non posso ormai più farci niente; a parte, forse, chiedere il tuo perdono. Che spero potrai concedermi, da quel bambino sensibile e affettuoso che sei e che in questi tuoi pochi anni di vita ho avuto la fortuna di conoscere.
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