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Die Argumentation kann ich nicht nachvollziehen: CLIL ist ja, soviel ich weiß, in allen Schulstufen gleichzeitig gestartet, in manchen Schulen/Schulstufen stärker, in anderen weniger stark, ganz abhängig davon, wie viele Lehrpersonen sich dazu bereit erklärt haben. Das heißt, es dürften den Viertklässlern im Vergleich zu den Drittklässlern maximal ein Jahr CLIL fehlen. Aber falls CLIL ein erfolgreiches Modell wäre, müsste es zumindest eine sichtbare Verbesserung geben. Aber genau das Gegenteil scheint der Fall zu sein. Auch wenn man die Eurac-Studie anzweifelt (was man ja tun kann, und das ist jetzt nicht ironisch gemeint), ist es unwahrscheinlich, dass, bei welchen Fragestellungen auch immer, ein umgekehrtes Ergebnis herauskommt. Und darum geht es doch: wenn CLIL als Maßnahme zu Verbesserung der Zweitsprachenkenntnisse eingesetzt werden soll, dann muss es einer solchen Studie Stand halten.
Was Sie, geehrte Eltern, in Ihrem offenen Brief schreiben, glaube ich Ihnen alles. Aber Sie können nicht von einer vermutlich relativ kleinen Gruppe auf die gesamte Bevölkerung schließen. Sie sorgen dafür, dass Ihre Kinder mit Kindern der anderen Sprache in Kontakt kommen, dass ihre Sprachkenntnisse gefördert werden. Ihre Kinder hätten die von Ihnen angesprochene Freude mit der Zweitsprache vermutlich auch ohne CLIL. Eine Sprache lernt man nun mal nur durch deren Anwendung. So gesehen hatte die gute alte "naia" auch ihr (vermutlich einzig) Gutes...
Im Übrigen bin ich der Meinung, dass den Sprachkenntnissen sowieso zu viel Beachtung geschenkt wird. Aber das ist eine andere Geschichte...
Ci fa piacere che anche i genitori di lingua italiana facciano sentire pubblicamente la loro voce e siamo loro grate perché ci forniscono l’occasione per porre fine a un malinteso generato da un’interpretazione fuorviante dei risultati di Kolipsi II. Teniamo a ribadire che con il nostro studio non abbiamo “messo in dubbio la validità del metodo CLIL”: il metodo CLIL non è stato in alcun modo l’oggetto della nostra indagine, dunque non è stato né valutato, né tanto meno criticato. Il nostro obiettivo era capire se gli studenti sono in grado, a un anno dalla maturità, di interagire nella vita di tutti i giorni nella seconda lingua. Per questo ne abbiamo testato le competenze e abbiamo raccolto una serie di informazioni utili a comprenderne comportamenti, atteggiamenti, abitudini ed esperienze. Fra queste ultime anche quelle maturate a scuola, o tramite la scuola, come i gemellaggi e l’insegnamento veicolare della seconda lingua. Metà del campione di studenti italiani (47,3%, e il 44,4% dei genitori italiani hanno a loro volta dichiarato lo stesso cioè confermano il dato) iscritti nelle quarte superiori nell’anno scolastico 2014/2015 ha dichiarato di aver fatto esperienza di insegnamento veicolare del tedesco (chi solamente in un grado scolastico, chi in tutti e tre) e noi abbiamo provato a osservare se esiste una correlazione fra questo tipo di esperienza, che per noi rappresenta una variabile al pari della motivazione o dell’atteggiamento nei confronti della comunità di seconda lingua, e i risultati dei test. L’esito per quanto concerne il nostro campione, ormai è noto: non si osservano differenze statisticamente significative tra le competenze di chi ha fatto esperienza veicolare di insegnamento del tedesco – e dunque è stato esposto a un numero maggiore (e senz’altro variabile da studente a studente) di ore di tedesco tramite questo tipo di esperienza - e gli studenti che non hanno fruito di questa possibilità. Niente di più e niente di meno.
Inoltre, abbiamo esaminato le impressioni degli studenti e dei loro genitori in merito alle esperienze CLIL maturate. Ne emerge - e lo abbiamo detto chiaramente durante la presentazione dei risultati dello studio - che la maggior parte degli studenti e dei genitori dà un giudizio positivo dell’”esperienza CLIL” e ritiene che essa abbia influito positivamente sulle conoscenze linguistiche e contenutistiche. In particolare, la maggioranza degli studenti ritiene di avere acquisito un bagaglio lessicale più ricco e di aver imparato molte nozioni della materia, anche se più di un terzo dei ragazzi non è convinto di non aver perso delle informazioni essenziali nella materia. Il giudizio in assoluto meno positivo è quello relativo all’apprezzamento della seconda lingua che non pare aver tratto un’ulteriore spinta dall’esperienza CLIL. In merito a quest’ultimo punto si osserva una discrepanza fra le impressioni dei ragazzi e il sentire dei genitori che dichiarano in più larga misura che i propri figli hanno imparato ad apprezzare di più la seconda lingua grazie all’insegnamento CLIL.
Siamo le prime a rallegrarci dall’entusiasmo mostrato dai genitori dei bambini iscritti nelle cosiddette classi bilingui per i progressi linguistici dei loro figli. È nell’interesse di tutti che il bilinguismo e il plurilinguismo siano una realtà concreta e diffusa nella nostra società ed è bene ribadire, se mai qualcuno avesse frainteso, il nostro lavoro ha come obiettivo proprio la promozione e il sostegno del bilinguismo/plurilinguismo in Alto Adige. Da che mondo e mondo la valutazione fa parte del processo di formazione e di crescita: perché, dunque, invece che serrare i ranghi e arroccarsi su posizioni di difesa e tutto sommato di chiusura, non si coglie l’occasione per fare il punto della situazione, individuando le aree di eccellenza e le criticità – che inevitabilmente ci sono, come in tutte le cose – e da lì ripartire con nuovo slancio sulla strada verso una società dove non accada, per esempio, che il 38,9% dei ragazzi italiani dichiari di non utilizzare mai il tedesco per chiacchierare? Oltre ai risultati degli esami di certificazione linguistica e delle impressioni, senz’altro utili ma non esaustive, di genitori, insegnanti e degli alunni stessi, non esistono altri dati empirici sulle esperienze CLIL in Alto Adige e anche a livello internazionale si chiede a gran voce di porre rimedio a questa che è indicata come una grave lacuna nel panorama CLIL. Occorrono studi scientifici – possibilmente longitudinali - ed evidenze statistiche per sancirne, oltre ogni ragionevole dubbio, la ricaduta sulle competenze linguistiche ma anche per chiarire fino dove può e deve spingersi la scuola e dove invece sono le famiglie e i ragazzi stessi che, smesso di delegare tutto alla scuola, devono mettere in moto quel circolo virtuoso affinché la lingua diventi davvero strumento di comunicazione, di convivenza e di partecipazione. E noi siamo qui per questo.
Andrea Abel & Chiara Vettori